Arturo Franco

Un’altra pagina della storia del Bridge è volata via. Arturo Franco, “l’Arturo”, ci ha lasciato questa notte.

Esponente del leggendario Blue Team, con la maglia Azzurra ha portato all’Italia la gloria di 2 trofei MEC (1971, 1983), 3 titoli europei (1973, 1975, 1979) e 2 ori mondiali (1974, 1975), oltre a numerosi argenti. Ai risultati internazionali si aggiungono 14 titoli italiani. Negli anni ’70, quando fra America e Italia esisteva una certa ostilità (oltre che rivalità) a livello Bridgistico, gli statunitensi gli hanno riconosciuto il titolo di miglior giocatore del mondo. Era anche stimato in tutto il pianeta per la sua assoluta, incontestabile correttezza.

Arturo era nato a Napoli. Conclusa la scuola media, si era trasferito a Milano per frequentare il Liceo Gonzaga. Sui banchi ha imparato anche il Bridge, grazie a compagni di classe che lo giocavano. Immediatamente è sbocciata la passione e con l’allenamento sono arrivati i primi risultati. Anche se sembra difficile crederlo, per via della sua ben nota vis polemica (ci ritorneremo in seguito), Arturo al tavolo era un compagno perfetto e per questo, nel Blue Team, veniva usato come “jolly”. Negli anni ha fatto coppia con Dano De Falco, Benito Garozzo e Vito Pittalà. Con quest’ultimo ha giocato anche l’edizione della Bermuda Bowl del 1975, la cui finale fra Italia e Stati Uniti è passata alla storia. A 48 smazzate dal termine della finale, la nostra squadra era sotto di ben 72 IMP. Nonostante fossero largamente in vantaggio, gli americani nutrivano sospetti su una coppia della nostra nazionale e hanno ottenuto che non venisse più schierata.
Quando Arturo si è seduto al tavolo, Bobby Wolff gli ha detto: “finalmente si gioca tranquillamente a Bridge!”
Arturo ha risposto: “Io sono sotto di 70 IMP e mancano solo 48 mani. Tieniti forte.” Swing dopo swing, il Blue Team era in recupero. Quando si è reso conto di quanti IMP cominciavano a “volare”, Bill Eisenberg si è innervosito al punto che, pensando di aver preso una sigaretta, ha messo in bocca un chewing-gum e lo ha bruciato con l’accendino (a quei tempi si poteva fumare al tavolo e occorreva indossare abiti molto eleganti, anche per questo chiamati “smoking”).

“L’Italia è a forma di stivale e sapete cosa è successo? La squadra italiana ha schierato una giovane stella, Arturo Franco, e ci ha presi a calci!” ha dichiarato il capitano Americano Alfred Sheinwold. “Hanno giocato meglio e hanno meritato di vincere.”

Arturo era geniale. Insuperabile. Imbattibile. Irrinunciabile. E, certamente, anche terribilmente testardo. Guido Resta, nel 1981, venne incaricato dal Consiglio Federale di rifondare il Blue Team. “Tutti i giocatori mi dicevano la stessa cosa: che non sarebbero tornati in squadra senza Arturo”.

Arturo, però, aveva un problema: non voleva per alcun motivo prendere l’aereo. Così, per un anno e mezzo, Guido e Arturo hanno viaggiato sui treni e le strade di tutta Europa ripassando il sistema.

Ostenda. Budapest. Biarritz. Wiesbaden. E infine Stoccolma. “Il controllore del treno, vedendo il nostro biglietto, ha detto che da 20 anni non gli capitava di incontrare viaggiatori impegnati in una tratta così lunga.”

Il sogno “on the road” del Blue Team rappresentava al contempo la fine e l’inizio di un’era. Era il 1983 quando la Bermuda Bowl si è svolta a Stoccolma. La squadra italiana, a un turno dalla fine, era in testa di 16 IMP. Per concedere un po’ di riposo a De Falco – Franco, che avevano giocato praticamente tutte le smazzate precedenti, si è deciso di schierare le altre due coppie. Garozzo giocava con Belladonna e Mosca con un giovane Lorenzo Lauria, all’alba della sua carriera. Purtroppo, alla fine, per una sola smazzata l’Italia ha perso il titolo. Arturo, insieme a Guido, assisteva all’amaro spettacolo nel teatro Rama. “Il primo pensiero di Arturo di fronte a quell’imprevista sconfitta? Andare a consolare Lorenzo, assicurarsi che non si lasciasse abbattere” racconta il Commissario Tecnico Azzurro. Forse anche grazie all’atteggiamento del suo compagno di squadra, Lauria di certo ha reagito a quella delusione, diventando a sua volta protagonista, negli anni successivi, di un’innumerevole serie di vittorie.

Nel presente e nel futuro c’è sempre un po’ di passato. Di sicuro Arturo ha lasciato un’enorme eredità. “Mi ha insegnato molte cose” ha commentato Norberto Bocchi. “Grande talento, un Maestro per tanti, un Campione che ha vinto tanto nella maniera più giusta e più corretta” ha dichiarato Alfredo Versace. Un pensiero viene anche dal più giovane Azzurro, Giovanni Donati, con cui Arturo ha avuto occasione di giocare in tempi non sospetti, profetizzandone l’ascesa. Guido Resta, al fianco di Arturo nelle sue ultime avventure internazionali, ha affermato: “[Arturo] ha vinto tanto nella maniera più giusta e corretta, ma non tanto quanto la sua statura bridgistica avrebbe meritato sia per abilità che per onestà”. Dano, suo compagno in tanti eventi europei e mondiali, con commozione ha detto: “per quanto mi riguarda, una buona parte del Bridge se ne è andata con lui”.

A livello nazionale, Arturo non ha mai smesso di giocare e di ottenere piazzamenti. Gl ultimi successi li aveva conseguiti nel Misto, schierato nella squadra di Alessandria con la sua compagna di Bridge Laura Tidone, i giovani Costa-De Leo e Marina Causa-Claudio Rossi. La loro formazione ha vinto il titolo a squadre Miste nel 2016 e nel 2018.

Vis polemica, si diceva. Di certo il carattere di Arturo non era accomodante. Quella sua pervicacia, l’assoluta sicurezza nelle proprie idee, la sua risolutezza senza compromessi, lo hanno portato a sviscerare e comprendere ogni aspetto del nostro complicatissimo gioco, a diventarne Maestro indiscusso, a costruire la più specchiata delle carriere al tavolo verde. Ma se è facile essere amati per la propria caparbietà quando grazie ad essa si conquistano trofei, le cose si complicano quando con la stessa caparbietà si cercano di cambiare istituzioni e, direbbe lui, privilegi. Molti si sono arresi alla sua testardaggine e Arturo a volte è stato lasciato solo, ma mai dai suoi amici sinceri, che si sono presi cura di lui fino all’ultimo giorno. Comunque, le centinaia di messaggi e pensieri che vediamo pubblicati oggi dimostrano che anche chi si è allontato non ha mai smesso di avere stima di lui, di volergli bene, di riconoscergli il merito di essere stato sempre coerente e leale, in primis con se stesso. Di aver avuto il coraggio di vivere “a modo suo”.

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